Casi studio dal mondo della comunicazione della scienza

Casi studio dal mondo della comunicazione della scienza

Come discusso nella pillola numero 7, a nostro avviso i comunicatori della scienza sono riusciti nella maggioranza dei casi ad affrontare il tema della pandemia con un approccio efficace, trasmettendo contenuti solidi ma sottolineando al tempo stesso l’incertezza che inevitabilmente li accompagna, attraverso un linguaggio godibile ma senza rinunciare al rigore. Di seguito riportiamo, senza pretesa di essere esaustivi, alcuni esempi virtuosi.

Roberto Cighetti, insegnante e divulgatore scientifico di Codogno, una delle prime città a essere incluse nella zona rossa, si è trovato fin dalle prime fasi dell’epidemia a raccontare dal di dentro quello che stava succedendo. Lo ha fatto inizialmente attraverso i suoi canali social, principalmente Instagram, per poi venire ben presto intercettato da giornali e televisioni nazionali (dai programmi di attualità come Agorà, Rai3 a I fatti vostri di Giancarlo Magalli, Rai2) e internazionali (con interviste per le televisioni spagnole e francesi).

Il suo racconto pacato e attento ai fatti ha permesso di migliorare la comunicazione mainstream in cerca di sensazionalismo. Un esempio molto efficace è l’intervista che ha rilasciato alla rivista online Vice.com

Come divulgatore, intanto, mi sento di dare qualche consiglio a chi dovesse trovarsi in una situazione simile alla mia. So che l’isolamento può acuire la paura: ti fa percepire in modo molto più netto il pericolo, rischiando di sovrastimarlo. Perciò, innanzitutto, niente panico. Prima di pensare al peggio, cercate di informarvi seriamente sul coronavirus e sulla realtà di questo fenomeno. Seguite le indicazioni ufficiali con scrupolo, ma non andate oltre quelle—e non intasate le linee predisposte a meno che non sia necessario. Infine, state lontani dai gruppi Facebook cittadini e dalle chat WhatsApp in cui ci si scambiano pareri e notizie a caso: quella è la vera quarantena che dovete imporvi, perché sono la vera peste.

Simona Scarioni è una studentessa di medicina. Ha un profilo Instagram dove, abitualmente, parla di libri scientifici. Durante l’emergenza ha convertito il suo canale in sportello di ascolto e risposta a tutti i dubbi sul coronavirus. Ha mantenuto un rapporto diretto e costante con le persone che la seguono fornendo molto materiale di approfondimento (reperibile gratuitamente qui).

Dario Bressanini, chimico e divulgatore scientifico, ha pubblicato sul suo canale Youtube video su diversi temi: dalla produzione di un gel disinfettante seguendo le direttive dell’OMS, alla matematica delle epidemie, all’importanza del rispettare le misure di distanziamento sociale.

Beatrice Mautino, sul suo profilo Instagram ha dedicato molto spazio agli aspetti di comunicazione legati al virus dando qualche strumento per orientarsi nel caos informativo. Un esempio è la guida per mitigare gli effetti della disinformazione, un altro è il video sul corretto uso delle mascherine.

La già citata Roberta Villa, medico e giornalista scientifica, è stata la vera protagonista della comunicazione scientifica e “pop”. Ha fornito informazioni aggiornate e accurate, senza mai cadere nella tentazione del consiglio personale, rispondendo con pazienza a ogni richiesta e rifacendosi sempre al consenso scientifico. Ha iniziato sui suoi canali social, principalmente Instagram, per poi arrivare a bucare le cosiddette bolle raggiungendo un pubblico vastissimo grazie alle collaborazioni con diversi media e con personaggi noti come Marco Montemagno, Alessandro Cattelan, Alessandra Amoroso e Fedez. Esemplare il suo TgVilla (qui la prima puntata), una rubrica quotidiana realizzata per il Science Web Festival per raccontare i progressi della ricerca sul virus e dipanare le matasse delle informazioni confuse e, spesso, contraddittorie.

Il Science Web Festival, nato da un’idea dell’associazione di divulgazione scientifica Multiversi e che ha coinvolto circa 200 divulgatori in dieci giorni di eventi e intrattenimento online, rappresenta bene il ruolo della divulgazione scientifica e della comunità di divulgatori scientifici. Tra i tanti aspetti che questa epidemia ha fatto emergere c’è sicuramente anche il ruolo sociale del mestiere del divulgatore che non è solo quello di dare notizie, comunicare concetti e trasmettere strumenti, ma è anche, e forse soprattutto, un lavoro sulla fiducia e sulla costruzione di relazioni.

Questo festival inoltre ha dimostrato che la comunità dei divulgatori scientifici esiste, anche se non è formalizzata, ed è pronta a lavorare assieme su un progetto comune. Non era scontato, ma è emerso tutto in maniera naturale. Il lavoro fatto con Folle di scienza in questi anni molto probabilmente ha contribuito a questo senso di appartenenza e di voglia di lavorare assieme.

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